Il popolo che non vota, oggi, è quello che decide, ed ha sempre torto.
Il destino delle "democrazie" dipende da molti fattori, ma certamente la partecipazione dei cittadini al voto è uno dei principali. L'astensionismo di un 10/15%, è un fenomeno endemico e quasi fisiologico. E' una forma di resistenza/disinteresse tradizionale legata agli strati più bassi e meno alfabetizzati della società difficilmente recuperabile se non attraverso una integrazione economica e culturale più massiva. Una percentuale di astensione che oscilla tra il 30 e il 40% non è più fisiologica, ma segnala una malattia, una disfunzione grave del sistema democratico.
È vero che l'Italia giunge da buon’ultima a questo che non è nemmeno un record: gli Stati Uniti, per esempio, da tempo viaggiano su percentuali superiori a quelle dei votanti, e non se ne preoccupano. Anzi, più in generale, tutte le democrazie occidentali, al livello politico, fingono che il problema non sussista. Qualche inascoltato cahier de doléance del sociologo di turno, un po' di retorica pre e post voto, e poi tutto va avanti come se avessero votato tutti. Chi vince parla in nome di tutto il popolo, chi perde non si interroga mai abbastanza sul perché molti tra i neo non votanti erano anche i propri ex-elettori.
Si dovrebbe conteggiare come espressione di un voto anche l'astensione, così come le schede bianche e quelle nulle e dare ad esse una rappresentanza parlamentare lasciando un corrispondente numero di seggi vuoti da sottrarre ai partiti votati. Simbolicamente si vedrebbe con un solo colpo d'occhio la reale consistenza dei partiti presenti in parlamento e il livello di decadimento raggiunto dalla cosiddetta democrazia rappresentativa.
Allo stesso modo, anziché pensare ad abbassare il quorum per sancire la validità dei referendum, bisognerebbe fissarne uno per le elezioni politiche di ogni ordine e grado. Solo così lo stallo in cui si trova oggi il sistema democratico sarebbe evidente reclamando un qualche intervento per evitare un definitivo scacco matto con l'annessa tentazione di soluzioni totalitarie.
Anche per questo il popolo che non vota è sempre perdente e, tuttavia, ha ragione.
Perché c'è oggi in Occidente una sempre più larga fetta di popolo che non vota? E quali sono le sue ragioni?
Non va certo sottovalutata una crescita di "menefreghismo" che ha conquistato, spinto da un montante analfabetismo di ritorno, una buona parte di "popolo" (il ceto medio e la ex-classe operaia) in passato meno ignorante e più sensibile al richiamo del proprio dovere civico. Il resto lo si deve ad una disaffezione e ad una delusione ben motivate e spronate da una permanente "distrazione" di massa, generata dal proliferare e dall'attecchire nel corpo sociale dei modelli comportamentali esposti (esibiti con arrogante prepotenza) in una gran massa di format televisivi, oggi seguiti (direttamente o indirettamente) non solo dal loro target tradizionale, ma anche da chi ieri li sbeffeggiava, per curiosità snobistica, a parole disinteressata. La forza della persuasione del messaggio/medium non più occulta, ma palese, induce una omologazione valoriale che è indifferente ai pronunciamenti volontaristici dei singoli.
Un discorso in più (che non soppianta il precedente) va fatto per l'astensionismo che riguarda gli ex votanti del centrosinistra, compresi tutti quelli che con scarsa consapevolezza si sono buttati in braccio alla Lega o facendosi illudere da un fumoso ribellismo hanno scelto il M5s.
Dal 2008 il centrosinistra e la sinistra radicale insieme hanno perso più di 8 milioni di voti, il PD ha perso ben 6 milioni di voti e la sinistra radicale quasi un milione di voti. Nelle ultime elezioni europee un milione circa di ex votanti PD si è astenuto. Questi dati sono impressionanti e non si spiegano soltanto con le delusioni e i tradimenti dei Renzi di passaggio né con l'arroganza con cui per decenni la vecchia classe dirigente del PCI/PDS/DS/PD (leggi D'Alema e suoi consimili/fotocopie) ha governato Regioni, Province, Comuni e poi anche l'Italia intera. Ci sono due ragioni più profonde: la prima riguarda il cosiddetto "popolo della sinistra", la seconda l'idea stessa di sinistra (che non bisognava confondere in un centrosinistra unito in un solo partito, ma riorganizzare in un sistema di alleanze con l'area centrista non di destra). Che cos'è oggi sinistra, di fronte alla globalizzazione, al nuovo mondo del lavoro, ai processi di automazione, al fenomeno migratorio ecc.? Se lo sono chiesti molti elettori che spaesati e senza risposte hanno finito per non votare o hanno scambiato per nuova sinistra movimenti che ne avevano solo l'apparenza.
La prima ragione, detta in breve e brutalmente è che quel popolo, considerato di sinistra, non tutto è davvero mai stato tale, con coscienza (di classe, si sarebbe detto una volta), ma culturalmente (dato non secondario e da sempre sottovalutato dall'intellighenzia di sinistra) non era (e da un bel pezzo) dissimile dal popolo di destra, per bisogni, desideri e paure.
La seconda ragione è più complessa; la domanda dell'elettore è: perché dovrei votare la sinistra se né il PD né altre formazioni più radicali incarnano un'idea di sinistra nuova ed adeguata ai tempi attuali?
Me ne sono già occupato e tornerò a farlo, più analiticamente; in questa sede basterà accennare al fatto che siamo di fronte ad una scomparsa dei valori e dei principi fondativi della sinistra e che né una fuga verso una via liberal-liberista, né l'ostinata ripetizione del passato social-comunista sono una soluzione praticabile. Siamo in attesa non di un "ritorno a Marx" e nemmeno dell'abusato richiamo a Keynes, ma di qualcuno che avvii un nuovo organico progetto - teorico e pratico - di "sinistra". Nel frattempo l'astensione è un’opzione ragionevole.