Questo incontro non è una
commemorazione per il ventennale della
morte di Jerzy Grotowski e nemmeno la
festa per un compleanno postumo. Nel
rischio di un eccesso celebrativo, che poi
non c’è stato, e nella certezza di un
deserto di dimenticanze, preferiamo
ricordare l’anniversario della nascita di
un uomo che ha segnato profondamente la
storia appena passata del teatro e non
solo del teatro.
Jerzy Grotowski non è stato soltanto
un uomo di teatro, non è stato solo un regista
e nemmeno un semplice maestro di attori, Jerzy
Grotowski è stato soprattutto un ricercatore,
non casualmente il suo primo esperimento
portava il nome di “Teatro laboratorio”, sul
modello non dell’istituto di ricerca
scientifica, ma dell’artigiano, secondo le sue
stesse parole, dell’intagliatore medievale che
cercava di ritrovare nel suo pezzo di legno
una forma preesistente. Un ricercatore, ovvero
un uomo in cerca, che ha attraversato e
superato il teatro, si è inoltrato nei
territori della etno-antropologia, ha sfiorato
le regioni della mistica e delle religioni, si
è confrontato con il mito, ha studiato sul
campo il rituale, sempre sulle tracce di
un’azione che fosse anche un atto di
conoscenza, un’azione radicale e radicata,
capace di liberare le energie sopite, di
favorire una percezione diretta delle cose, di
instaurare relazioni autentiche tra gli esseri
umani.
Dapprima nel teatro con la scelta del
“teatro povero”, facendo a meno di scene,
costumi, trucchi, musiche registrate, ha
restituito all’attore la possibilità di essere
sincero, di non nascondersi dietro una
maschera, di donarsi nella relazione con
l’altro, il proprio partner sulla scena, il
pubblico nella platea spazialmente
rivoluzionata, in un atto totale di sacrificio
di sé. Poi con il Parateatro ha tentato di
estendere questa non-recitazione raggiunta
sulla scena anche nella vita delle persone
normali, attraverso incontri e laboratori
aperti ed esperienze radicali di confronto con
se stessi, con gli altri, con la natura,
perché sosteneva che già recitiamo, ovvero
siamo insinceri, a sufficienza i ruoli che ci
sono assegnati nella vita. Perché allora
sforzarsi di farlo meglio e non piuttosto
disarmarsi, tentare di essere se stessi?
In seguito ha avviato, sulla scorta
dei limiti apparsi nel corso del Parateatro,
una ricerca sulle fonti delle tecniche rituali
di conoscenza e percezione, convinto
dell’esistenza di un’oggettività drammatica
-dal greco drama, cioè azione- transculturale, che
precede il teatro, il mito, il rito ed è
capace di trasformare le energie pesanti in
energie sottili e di guidare l’uomo/attuante
in un’ascesa verso una conoscenza più alta e
più profonda. E alla fine è stato nel veicolo
di alcuni canti antichi che ha trovato la
chiave, la cifra segreta, l’ascensore
primordiale, per raggiungere la meta a lungo
cercata, una saggezza non intellettuale, una
tensione verticale, capace di liberare dalla
schiavitù delle relazioni orizzontali, un
rapporto diretto col mondo naturale.
Insomma, la ricerca di Jerzy
Grotowski si è compiuta inanellando una catena
che dal “teatro come presentazione” (l’epoca
degli spettacoli) è giunta “all’arte come
veicolo” (il lavoro sul Performer, colui che
compie l’azione). Egli ha perseguito con
rigorosa coerenza, pur passando attraverso
salti e rotture inevitabili, quell’utopia di
un uomo nuovo, di un altro modo di essere al
mondo che fu coeva e condivisa nei suoi
esordi, ma poi dai più fu messa da parte nel
corso degli anni, per concentrarsi
sull’innovazione e la riforma del teatro
piuttosto che sulla rivoluzione dell’uomo.
Jerzy Grotowski è stato l’unico a non
abbandonare quella ricerca, perché l’unico a
non seguire mai la corrente principale e a
cercare sempre in ogni circostanza storica la
complementarità.
ZEROSTELLE
Questo blog si
occupa di attualità, politica, società e... altro.
Propone riflessioni, approfondimenti teorici, guarda
indietro, nuota nel presente, si proietta nel
futuro. Qualche nostalgia senza rimpianti, la giusta
dose di sogni, desideri e visioni, cercando di non
dimenticare la cruda realtà dei nostri giorni. Tre
sezioni conterranno post e interventi
rispettivamente sul presente: "Ne la città
dolente", sulla memoria: "L'ora che
volge..." e sul possibile (utopico e
distopico) che ci attende: "A riveder le stelle".
Una quarta sezione “Le dolci rime” è
dedicata alla raccolta di poesie d’autore in video e
in parole scritte. Amministratore e coordinatore del
blog è Francesco Torchia, per più di quarant'anni
professionista nel Teatro come attore, regista e
pedagogo.