Le riflessioni che seguono non vanno considerate come giudizi sulla persona e sulle azioni di Greta Thunberg ma come ipotesi di lettura della sua dimensione fenomenica vale a dire del modo in cui, attraverso l’inevitabile mediazione dei mezzi d’informazione, si presenta ai nostri sensi e alla nostra esperienza innestando meccanismi consci e inconsci di rappresentazione.
Un "fatto" è tale, lo diventa, solo se trova nei mezzi di comunicazione di massa un riconoscimento rappresentativo. È accaduto, sta accadendo, per il riscaldamento globale. La comunità scientifica, gli studi climatologici ce lo dicono da tempo ma i mezzi d’informazione si sono sempre limitati a rincorrere l’evento eclatante, a metterlo in vetrina per un giorno e farlo scomparire il giorno dopo. Il tema aveva ed ha risvolti cupi non facilmente traducibili in spettacolo. Ma ecco che improvvisamente si presenta un’occasione ghiotta. Il mondo dell’informazione scopre un personaggio che con il suo corollario di azioni può fungere da protagonista per l’allestimento della sua messa in scena. Non il climatologo di turno che da tempo, quasi in modo minaccioso, ci ammonisce sul possibile destino nefasto ma una sedicenne che con il suo volto pulito, le sue trecce e il suo “corpo androgino” evocano in noi il puer aeternus e spiana la strada a possibili messaggi di speranza. Affinché un fatto sia riconosciuto e messo al centro dell’attenzione occorre che trovi un protagonista, non uno qualsiasi. Greta Thunberg ha per i mass media quegli ingredienti giusti che le consentono di apparire sul palcoscenico dell’informazione. Oltre al potere comunicativo della sua corporeità e della sua età, porta con sé una protesta narrativamente spendibile, una storia inusuale: per 20 giorni, precedenti le elezioni legislative svedesi del 9 settembre 2018 e successivamente per diversi venerdì, pratica ciò che lei stessa ha chiamato Skolstrejk för klimatet (Sciopero della scuola per il clima). Un ipergesto e uno slogan che risultano particolarmente appetibili a livello informativo per il facile impatto che generano e per la loro capacità di condensare in poche azioni e parole un principio e un obiettivo. Insomma gli ingredienti sono quelli prediletti dall’informazione: quella, in formato elettronico o cartaceo di quotidiani e riviste e quella dei telegiornali e dei talk show. E giù a cascata, a far da eco, i >social network ove invece generalmente i temi ecologici sono subissati dalla polemica politica quotidiana incentrata sui protagonisti di turno.
Se l’informazione ama incorniciare persone ed eventi in una struttura rappresentativa ideale è perché la nostra stessa esistenza, come ci insegnava Erving Goffman, si configura come una sorta di rappresentazione in cui insceniamo noi stessi di fronte agli altri. Per quanto un certo “illuminismo di sinistra” sull’orlo di un’eterna obsolescenza si ostini a sostare sotto il bagliore di edificanti messaggi ed enunciazioni di principi, la comunicazione batte il ferro caldo del simbolo e del mito, fondando la sua narrazione sugli elementi metacomunicativi. Si osservi la marcata mimica facciale della Thunberg nel discorso all’ONU. Un’amplificazione espressiva volta a rendere percepibile lo stato emotivo sotteso alle poche ed essenziali parole pronunciate. Poco importa che si tratti di recitazione (intenzionale o non) o di profusa sincerità quando la messa in scena del risentimento, con un incipit minaccioso (“vi teniamo d’occhio”), vale il riconoscimento da parte dei media del carattere appassionato del discorso. Non ci si stupisca pertanto se le manifestazioni di massa del Friday for future nascano all’insegna di una figura simbolica, una sorta di fiera e austera eroina norrena che parla in nome della Grande Madre (la Terra) e in difesa del destino delle nuove generazioni. Il bersaglio delle sue critiche sono quei “grandi”, nella duplice accezione di adulti e potenti, che costituiscono la controparte senex del puer e che hanno perduto i connotati archetipici della saggezza, della maturità e dell’esperienza per vivere sotto l’egida della crescita economica illimitata, ancorati al potere e noncuranti del destino dei loro figli. Essi assomigliano a quel Saturno-Crono che divora i suoi figli rappresentato in modo cruento da Francisco Goya nel XVII secolo. Una sorta di metafora di un temibile destino a cui sarebbero esposte nel futuro le nuove generazioni.
Nell’opposizione al senex, il puer ritrova la sua intrinseca forza vitale rivolta al futuro perché in nuce, desiderosa di crescere, di espandersi nel mondo.
Puer vs. Senex dunque? Ecco la facile formula spendibile sul piano dell’informazione e che diversi commentatori si sono affrettati ad adottare sino ad arrivare, nel caso del quotidiano “il Manifesto”, a prefigurare enfaticamente una sorta di nuovo ‘68. Le cose sono in realtà maledettamente più intricate.
Puer e Senex sono per Jung e Hillman due polarità di un unico archetipo e ognuno di essi contiene luci ed ombre. Per quanto abituati siamo a identificarli unilateralmente con un’età biologica, queste due polarità costituiscono una coppia inscindibile e fra di loro in tensione. È la nostra coscienza che le scinde illuminando di volta in volta una e oscurando l’altra. Accade così che la parte puer accusa la parte senex di aver fallito e la parte senex accusa la parte puer di essere inconcludente e fanciullesca. Ma la situazione non corrisponde a questa semplice contrapposizione. Se in tempo reale alcuni scienziati appartenenti al comitato “la Scienza al voto” con una lettera aperta manifestano la loro disponibilità ad operare assieme ai manifestanti affinché si diffonda la consapevolezza della natura antropica dei cambiamenti climatici e si eserciti una conseguente pressione verso i decisori politici è perché la loro parte puer non è morta e trova negli eventi contemporanei uno stimolo per far sentire la propria voce.
Dall’altra sponda fanno eco le parole della ragazza svedese quando davanti alla platea dell’ONU afferma: “Ascoltate la scienza”. Questo appello indica che il puer per sfuggire all’aleatorietà dell’evento che si consuma nell’attimo della sua rappresentazione, ha bisogno di trovare la stabilità nell’incontro con l’altra polarità, quella del senex. I decisori politici sono implicitamente invitati a riscoprire in se stessi il mito del vecchio saggio, della maturità che sprigiona dal sapere e dall’esperienza ma per farlo, a loro volta, devono riconoscere le ragioni del puer.
Si può ironizzare sulle scelte espressive adottate dalla giovane Greta Thunberg , si pensi all’uso della frase “Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia”, e affermare legittimamente che l’argomento del riscaldamento globale non si affronta in modo “ideologico-sentimental-patetico”, come ha detto Massimo Cacciari, ma questo significa eludere la dimensione mitico-simbolica degli eventi e, più in generale, l’impatto che l’aspetto metacomunicativo ha sull’opinione pubblica. Se, ai fini degli sviluppi futuri, la discussione sul piano scientifico e tecnologico rimane fondamentale per progettare il “che fare”, non possiamo dimenticare o deliberatamente ignorare che l’informazione di massa costruisce la realtà agendo sull’immaginario collettivo che di volta in volta plasma secondo i propri codici e i propri bisogni commerciali.
Non si può concepire un mondo asettico in cui la razionalità scientifica diventa l’unico e indiscusso strumento d’interpretazione della realtà e ridurre a ideologia o sentimentalismo tutto ciò ch’essa esclude anche perché sino ad oggi questa concezione-convinzione non ci ha aiutato molto a sconfiggere i demagoghi che agitano e sfruttano i fantasmi che abitano la psiche collettiva.
La dimensione mitico-simbolica ci aiuta a metaforizzare la nostra esperienza della realtà. Essa ci accompagna lungo tutta l’esistenza anche se si presenta prepotentemente nella nostra vita soprattutto nei momenti di sofferenza e dolore: malattia, lutti, vecchiaia, ponendoci inquietanti interrogativi. Le battaglie culturali si combattono anche con parole, immagini e ipergesti che sappiano colpire il versante affettivo-emotivo del nostro essere. La letteratura e la poesia spesso ci forniscono le parole; il cinema, l’arte e la fotografia ci offrono immagini; il teatro ci aiuta a costruire ipergesti. Al di sotto degli effimeri e volatili fenomeni mediatici che accendono fuochi di paglia pulsa un famelico mondo mitico-simbolico. La politica e l’educazione dovrebbero familiarizzare con questo mondo e, senza perdere la consapevolezza che i temi che affliggono il nostro tempo (riscaldamento globale compreso) sono inscritti in un complesso reticolo di interconnessioni, riconoscere l’esigenza di animare passioni, d’inscrivere le promesse di cambiamento in una narrazione non illusoria ma ricca di pathos. Soltanto in questo modo potremo sognare un’umanità planetaria che si riconosca, come scrive Edgar Morin, in una “comunità di destino”.